Peter ti finisce

Ecco vedete: il Cinerofum svolazza con piacere, ma non lo fa da bacchettone, per partito preso. Quindi, se in sala divampa l'ambiziosa noia, dopo qualche giorno viene a scriverlo qui. L'ultimo appuntamento con Peter Greenaway, programmato dagli amici "Amici del cinema", è stato "L'ultima tempesta" (tanto le ripetizioni in Greenaway, ormai lo sapete...), adattamento shakespeariano scritto e diretto dal gallese nel 1991. Di diritto, subitaneamente, nel novero delle pellicole più pesanti che io ricordi.

Il critico Maurizio Fantoni Minnella, presente in sala, introduce a quest'opera e a quella più in generale dell'eclettico regista: "autore dai barocchismi affascinanti, [...] dalla sperimentazione costante (ben differente quella di Godard...), [...] mette in luce zona d'ombra del cinema come percezione visiva". Parole esatte. Poi accenna un elogio per quel "ventre dell'architetto" ("il più lineare, forse") che non sposta di un pelo il giudizio mio e di Mino, di segno completamente opposto (voi direte, e chi se ne frega?). Infine chiosa: "Opera che si ispira e riprende frammenti dell'opera di Shakespeare; in essa ritorna il libro come porta preziosa verso un sapere altrimenti precluso; pochissimi dialoghi, sola la voce narrante di Prospero". E ancora i corpi, veicoli di ciò che sappiamo e di ciò che no, libri viventi, a modo loro.
Film d'impostazione teatrale, come altrimenti?, in tutto: disposizione scenica, recitazione, costumi, danze, canti. Pittura, Tanz Theatre...nessuna arte esclusa. Un balletto muto che deve essere osservato (magari in proiezione pomeridiana), rivisto solo se qualcuno me lo chiede. Quando canta Cerere ho quasi uno shock; con Giunone mi sento già meglio. Insomma, un libro animato, dove orchestrazione e scenografia trasudano cura e dedizione. Ma questo film dotto, letterario nel midollo, nell'estasi delle sue barocche coreografie, finisce per dimenticarsi il coinvolgimento dello spettatore (ok, ok, del mio quantomeno), diventando pure terribilmente verboso (con Prospero che si stra-congratula con sé e la propria sorte).
Diciamo che questo film, tu P.G. tappati occhi ed orecchie, è un piano orizzontale: disfatta piuttosto bruciante, per chi insegue un cinema che, invece, è muscolo pulsante in tutte le direzioni. E Greeneway spesso lo raggiunge, a volte persino sorpassa.
(depa)

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