Note di bianchi e neri

La sala Valéry, cosa piuttosto ovvia, quando si guarda cinema francese, gongola di gusto. Sarà stato per questo motivo che, ieri sera, alla partenza di "Tirate sul pianista", diretto da François Truffaut nel 1960 (al secondo cimento), tutto era al proprio posto. Compresi i tre spettatori: Elena, Mino (fornitore della "pellicola") ed Io. E, se si esclude l'unica distratta dall'attività ricettiva nelle stanze di là, tutti estasiati di fronte alla spigliata eleganza di questa storia nera di un pianista elegante che tante ne ha viste.

Tra le prime immagini, frammenti di buio cui bisogna abituarsi e che, col senno di poi, assumono bellezza propria. Dialoghi che son tributi e sberleffi alle parole dei più duri d'Oltreoceano. "Chiamami Charlie, aspettami di là", così si presenta il cupo e sensibile protagonista di questo racconto (un affare veloce in bagno e arriva); gran personaggio, il pianista tenebroso che attira le donne più belle per poi spaventarsene.
La notte francese, completa, è tutta per lui; le linee di luce danzano sui muri mentre i personaggi si scambiano sguardi e sussurri, da provare, silenzi ("Dai levati il vestito...anche se è così carino!").
Meravigliosi giochi di contrazione ed espansione degli spazi (dei piani), mediante i movimenti e le "fisse" (commovente il passaggio di Lena in cortile, con la m.d.p. che l'aspetta in preda all'emozione, poi con un gesto sinuoso la guarda uscire; intriganti quanto divertenti le audaci e spavalde le inquadrature della resa dei conti finale). Eccole, les lumieres de la nuit di Truffaut, quando le strade si dissolvono tra le veilleuses et une chanson française e l'alba è già arrivata, di là dal vetro (dove resta un po' di neve).
Per questo è un sogno che sa di cinema, questo romanzo sulle morti e i pochi miracoli di un pianista comme un autre.
Mentre Elena ancora lancia "oehh" che indicano "esagerazione", Mino ed io a discutere se collocare il gran Truffaut nell'Olimpo dei Grandi.
(depa)

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