Comportiamoci da attori

Ci sono film per cui è impossibile prendere appunti. Sono gli stessi per i quali viene voglia di sfogarsi subito. Ma una balla tira l'altra (immaginatevele: ci sono due balle che si strattonano tra loro, l'una cercando di portare l'altra al proprio divano)...Ed è brutto, altresì, leggere codeste cretinate, dopo le emozioni immagazzinate grazie ad una sì tale pellicola. Marigrade ed io, ormai la scena, seppur rara, ripropone lo stesso schema, verso i tre quarti, come usciti da un'intima esplorazione, ci scambiamo uno sguardo interrogativo, al quale rispondiamo con grinta soddisfatta, dalle labbra ben compresse. L'ultimo lavoro dell'iraniano Asghar Farhadi, "Il cliente" (2016) è una perla cinematografica, che mozza il fiato per la bellezza delle immagini e la forza dell'intreccio.

Regia efficace quanto elegante. Intendo l'acutezza del testo cui la m.d.p. segue con abilità artigiana. Spessore psicologico ravvisabile negli sguardi, nei silenzi, nelle inquadrature che, sorrette da una scenografia formidabile, risultano in perfetta sintonia col magma emotivo della scena. I collaboratori di Farhadi sono in stato di grazia (luci, colori, riflessi: magici quelli rossi durante le prove teatrali). Le inquadrature spaziano dal realismo duro e ricercato al confezionamento di scorci indimenticabili (non solo quelli sul palco). I movimenti macchina efficaci quanto ricercati: impossibile ignorare quello rotatorio sulle scale popolari circondate dalla m.d.p. durante il trasloco; così come è lampante il magistrale montaggio realizzato nelle sequenze delle prime preparazioni nella nuova casa, da parte della sfortunata protagonista (la cui capricciosa esigenza, tristemente umana, di avere anche l'ultima stanza vuota, non riesce minimamente a distrarmi da quanto dipanantesi sullo schermo bianco).
Il parallelo tra le vicende dei teatranti e degli attori reali è un classico, qui allestito in maniera, come detto, robusta e inebriante (l'incipit pre titoli di testa è già un manifesto della perfezione stilistica della pellicola, da qui l'apnea cominciata ben presto per me e Marigrade).
La cosa buffa, a me appare così, è che, leggendo le parole sopra scritte, si potrebbe ipotizzare una pellicola dedita alla mera estetica, o estremamente riflessivo, "lento" direbbero molti che conosco. Niente di più falso: questo è un film in cui, se qualcosa deve succedere, succederà. Ritmo incalzante tra i tanti e sfaccettati personaggi che danno il quadro del teatrino in cui viviamo. Ad ognuno il suo, immaginatevi quale siano le particolari dinamiche di un paese in cui Tradizioni e Oscurantismo finiscono per ubriacarsi assieme. Insomma, le riflessioni s'accumulano come la CO2 nell'atmosfera, senza alcun rischio, anzi.
Per qualcuno "un Farhadi minore", gulp. E pensare che, secondo Marigrade, è "tra i migliori iraniani mai visti". La mia visuale, ben più umile, mi offre infinitamente meno. Non mi lamento e resto; immobile col ricordo de "Il cliente"; sino a quando qualcosa offuscherà quest'ultimo Farhadi.
(depa)

ps: come ha fatto a non vincere a Cannes 2016?

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