In sogno si sa...

Questo 2017 è nato sulla scia del finale di 2016, periodo in cui, in sala Valéry, s'è spesso venuto a sedere il regista David Lynch. Il primo dell'anno Elena ed io a decantare con davanti "Mulholland Drive". Scelta azzardata, a prima vista. Eppure, che sia l'illusoria maturità accumulata in tutti questi anni, o i lucenti propositi per il nuovo anno, ma questa pellicola del 2001 ci è parsa ben più solida ed apprezzabile di quanto ci era parso alla sua uscita. Da un incidente, un sogno e un'intrufolata, prende piede questo sinuoso racconto di Lynch, ben saldo nel suo percorso di destrutturazione della realtà.

Poi un produttore e due scagnozzi, per sollevare il lato comico di un intreccio altrimenti cupo e soffocante. Sì perché ritrovarsi a chiamare se stessi in effetti può essere una situazione non facile, anche in thriller dall'atmosfera rarefatta, come questo, abilmente danzante si di un testo a campo aperto e puntellato da eventi scatenanti e momenti emozionanti (come la magica parentesi teatrale).
Come la protagonista, discendente confusa e traballante dalla strada collinare che dà il titolo alla pellicola, la m.d.p. osserva gli avvenimenti volteggiando lentamente. Mosca stanca col mal di mare, insetto socratico, lei sì, sa di non poter mettere in luce alcunché. Dal quadro confuso emergono le bellissime nature semi-morte lynchiane (telefoni su comodini alla fioca luce di un boh), ad incorniciare l'indagine intrigante e la storia affabulante, grazie anche al sonoro, ben calibrato sulle singole sequenze. Infine un po' di hot, tra le mammelle della messicana e le voglie della bionda USA.
Il racconto di Lynch ci ha circondato, confuso e sorpreso. Immagino non desiderasse altro.
(depa)

ps: non resisto; perché la sua vicina di casa non ha riconosciuto Diana?!...

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