Neo-vaccate 2.0

Ieri pomeriggio s'è sfiorata, a breve distanza, la doppietta. Oltre Elena e me, una signora al centro della sala 1 dell'"Ariston". Peccato, soltanto "palo" questa volta. Chiusa questa futile parentesi, non resta che domandarsi: «Perché? "Personal Shopper", scritto e diretto dal francese Olivier Assayas nel 2016, avrebbe dovuto attirare un pubblico maggiore?». La risposta, per i due terzi della sala, è no.

La Ele perché nel trailer ha visto Kristen Stewart, io perché vi ho letto il nome del regista parigino, che mi colpì, nel 2014, con col suo precedente lavoro, ecco cosa ci ha spinto ad ignorare le temperature anomale di quest'aprile pazzerello. E la Stewart in effetti è un bel vedere (anche se c'è una certa delusione, anzi due); proprio come nel racconto di tre anni fa, ambientato tra le nuvole svizzere, la ragazza dal volto tenebroso e strafottente viene pedinata con sapienza da Assayas, immersa in una fotografia (luci) che ne esalta fascino e imperscrutabilità. Il gioco messo in piedi dal regista, per certi versi, si discosta poi poco dal suddetto lavoro. Ancora ambizioso, ancora in bilico tra il desiderio di apparire autoriale e quello di utilizzare dive dei teenager e uozzàp per allargare un po' il proprio pubblico. Forse stavolta è mancata lo spessore della Binoche, tant'è che il risultato, a parte sul piano visivo (ma da quando è sufficiente?), è deludente. Poiché l'intreccio è qualcosa di trito e ritrito, tra fantasmi che fan capolino e i soliti traballanti passaggi sul crinale del reale/irreale (sperimentale? originale? ditelo che siete parenti di Olivier), poiché è confuso, sbrindellato e presuntuoso (morti sul campo: un'artista parente di Klint e il povero Hugo che, in esilio, cazzo volete facesse?), poiché non ha il senso della misura, le chat: vado al cinema per evitare di essere circondato da monaci aifonisti...e mi devo sorbire la stravaccata Kristen che si scalda il pube, non tanto per un nuovo ignoto spasimante (disamina elementare su paura e fascino del proibito), quanto perché ha un costoso cellulare tra le mani ed è sempre online. Feticismo per nulla calcolato (altro che attacco alla "società crossmediale"). Poiché il finale è uno dei più brutti che ricordi, inno alla mancanza d'idee, perla di vacuità, tentativo triste di chiudere un cerchio che, nella realtà, è una fune sbrindellata (ma coperta di lustrini griffati). Vedete che è facile scriverne male, così come bene?
Un'altra domanda interessante è? Possibile che tutto ciò che esce nelle sale sia un film apprezzabile? Su ragazzi, un po' di coraggio, questo film è una cagata pazzesca.
(depa)

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