Disney Blasfemia

In onore della venuta di "Sua Santità" a Genova, come ringraziamento per la militarizzazione della città (e dei cestini della rumenta tappati da grate che sanno di medioevo), come segno di devozione a Papa Francesco di sto...dei miei stivali, ieri sera la Biblioteca Libertaria Francisco Ferrer ha dato il via ad un ciclo di proiezioni dedicato al gran bene che la religione cristiana ha fatto all'umanità. Il primo appuntamento ha previsto "Narciso Nero", del 1947, "scritto, prodotto e diretto" dalla coppia anglo-magiara, a me ignota, Michael Powell ed Emeric Pressburger. Una simpatica "disney blasfemia", esasperata dal technicolor di "pongo" e dall'alienante scenografia himalayana. Lassù non tutto è così limpido.

Alla faccia di sindaci, assessori, istituzioni insomma, che fanno di tutto per ammazzare qualsiasi iniziativa non allineata (leggi "che non generi profitto"), i caruggi a Genova rimangono un vero piacere per lo spirito (libero). I muri, l'unica vera fonte di ispirazione ed informazione non assoggettate, oltretutto, ti possono organizzare la serata. Stavi per finire nella solita, classica, anonima sala di un cinema che manco ci crede (non tutti, i cassieri di sicuro ne hanno le palle piene, siamo a fine stagione). E invece eccoti su una seggiola del "Ferrer" di piazza degli Embriaci, con quattro, cinque compagni, nuove amicizie.
Il film di ieri sera è davvero curioso. Ricoperto della gioiosa patina del tipico film britannico "di situazione", con musichette che introducono i tanti personaggi coloriti, tra cui: la vecchia domestica (la memoria, depravata, del monastero), l'avventuriero inglese atteggiato (dal viso espressionista e incredibilmente pulito), ogni suora coi suoi crismi (la grassa energica, quella piacente e libidinosa, poi la brutta etc) e la selvaggia birichina che fa capolino. Decisamente caratterizzati, pure troppo, contribuiscono al frastuono iniziale e al senso di sfilacciamento. Il technicolor aumenta il contrasto tra l'incontaminata ambientazione, la candidezza delle protagoniste e gli intimi (intimissimi) moti tellurici delle stesse. Ma ci si mette un po' a capire dove vogliono arrivare i due autori.
Grazie principalmente all'allestimento scenografico, riproducente vallate verdi, abissi mozzafiato e vette innevate (scenario tibetano a quanto pare), l'atmosfera d'isolamento e straniamento riesce efficace. Pruriti d'altitudine, per le suore ed il marcantonio di turno; pure un principe indiano e una monella dagli occhi verdi magici (e la metà degli anni) insinuano un delicato miniscandalo. I registi confezionano un crescendo di follia, sia con le classiche musiche, sia con inquadrature che ben sfruttano il grande lavoro degli scenografi e degli attori (più che la quasi algida Deborah Kerr nelle vesti bianche della madre superiora, è l'infuocata "suor" Kathleen Byron a bucare lo schermo, non solo nelle dissolvenze clou a lei dedicate).
Pertanto il fastidio iniziale per quello che, sulle prime, pare un film poco significante, diventa gusto e ghigno di derisione, pienamente meritato dal mondo clericale, da millenni prepotentemente arroccato sui bastioni del nulla.
Grazie ai ragazzi della Biblioteca Ferrer per lo spunto. A Bergoglio, invece, lo sputo.
(depa)

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