"Figli della stessa rabbia"

Qualche sera fa, dopo un bel tuffo nella popborghesia dello "Slow Fish", non mi è rimasto che fuggire verso salita Santa Caterina. E ritrovarmi nella minuscola sala Film Club, per la seconda volta da solo in pochi giorni, a tu per tu con la "Banda". Una sorta di concerto senza pogo, né sudore, né wührer in mano, è vero. Ma brividi, canzoni e pugno alzato ci sono stati. "Banda Bassotti - La brigata internazionale", uscito quest'anno, sintetizza tutti gli elementi del gruppo musicale e, inoltre, mette a fuoco il grande impegno sul "campo": fabbrica, ponteggi, Nicaragua, El Salvador, Donbass...

Qualche cassettina fornita dal buon Hoce ("Cip", se su un pullman da trasferta: un saluto al marinero); più tardi concerti allo "Zapata", poi altri CD (originali) forniti dal Gianred che, raramente accettava altro punk oltre ai Ramones; così feci la conoscenza della Banda Bassotti. Da allora, orecchio ben teso ai testi di questi proletari con penna e schitarrata dorate, cariche d'energia. Il documentario ripercorre la loro formazione, quando sul palco c'era un po' chi capitava nei pressi, quando poi i C.S.O.A. si riempivano di compagni e simpatizzanti giunti da ogni dove...
Lo spirito antifascista tenuto in piedi a suon di OI! e di contatti internazionali. Senza paura, né dell'esercito israeliano, né di quello ukraino. Perché ad ogni parola s'accompagni il gesto. Di solidarietà. Di lotta.
Che la "Banda" non capisca o non voglia capire che è utopico (quello sì) sperare in uno Stato dal volto solidale, sociale, a difesa delle persone bisognose, foss'anche con dichiarazioni e coccarde comuniste, conta relativamente. Importa il "tendere", ad una società egualitaria, antifascista, dove non ci sia un povero finché c'è un ricco. La Banda Bassotti, coi dischi e, soprattutto, cogli scarponi, l'han fatto e continuano. Pugno alzato per loro.
(depa)

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