Pensiamoci noi

Il venerdì è sempre meglio iniziarlo con una visione cinematografica, così si dà i là: ad un fine settimana, ad un più fine sguardo, ad un miglior fine in generale. Con Elena, su indicazione di Baracca, ci siamo diretti verso i "Cappuccini"  perché a quanto pare il novarese classe '65, Antonio Rezza, "sopra le righe, piuttosto in forma", con "Milano, via Padova" (2013) può provocare risate speciali.

E come si fa a non consigliare un documentario che affronta il tema del conflitto interrazziale, quindi di razzismo per usare le cose col loro nome ("Io mica sono razzista!"...)? Questione più che vicina, dietro l'angolo (meglio se occultato da qualche sfavillante catena di vendita). Via Padova a Milano, zona Loreto nord, a qualche centinaio di metri dalla fu Sala Valéry, è crogiolo prezioso per alcuni, pericoloso per altri. Siamo alle solite. L'ironia di Rezza è arma potente che permette di denudare pregiudizi che nascondono il vuoto (esistenziale, culturale e, perché no?, ideologico) fatto di argomentazioni in saldo (promozione elezione!) e reazioni irrazionali. Senza testata ferire, ma conducendo per mano, attraverso l'entrata di servizio, il pensiero ed il sentire di persone troppo spesso abbandonate al prodotto, facile ma nocivo, preparato e consegnato dai mass-media (da sempre strumento del profitto). Facilmente disarmati dal tranello dell'ironia, anche i più duri si avvicinano.
Il contributo più rilevante, a mio avviso, proprio la dimostrazione che basta uno scambio di parole, anche se acceso, per far crollare quel muro interculturale che ai piani alti viene imposto (per vari motivi, su tutti economici), ma che non deriva da reali esigenze e logiche sociali. La specie umana naturalmente spinta al mutuo appoggio, nonostante il costante lavorio delle dottrine filosofiche degli ultimi due secoli (pre positivismo); gli uomini provenienti da vari punti di questo unico pianeta uniti da una canzone, una battuta, un sorriso. 
Emarginazione ed abbandono (più repressione) generano paura quindi odio...perché quando uno ha fame ha fame? Diciamola tutta: 5 parole buttate lì sono più comode che affaticare la mente per individuare i reali colpevoli (sempre più mimetizzati), stancare le membra per recarsi sulle "barricate". Perché non crederete anche voi che manchino i soldi per far sì che nessuno debba passare le giornate su un marciapiede? La spada del sarcasmo può molto e Rezza, tra le righe, sfiora pure concetti alti e inconfessabili (la famiglia? il lavoro? solidi pilastri di una società di cui godono in...tre?). Quindi si cerchi un nuovo immaginare, qualcosa di distante da logiche di produzione e consumo (altrimenti non ci si stupisca che chi non ha s'incazzi contemplando chi ha).
Non crediate però che i suddetti temi appesantiscano la visione di questo documentario, realizzato da Rezza con la compagna Flavia Mastrella: si ride molto. Perché, se non fosse per la sofferenza quotidiana di esistenze piegate, il materiale comico in quelle zone di confine e contatto è davvero ricco.
Grazie Baraka.
(depa)

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