Chiesa che uccide

Giovedì scorso, al "Ferrer" di piazza degli Embriaci è stato il secondo atto della rassegna anticlericale. Superati alla grande i consueti guai tecnici, il telo bianco s'è coperto di "Giordano Bruno", film diretto nel 1973 da Giuliano Montaldo. Figura sontuosa, quella del monaco filosofo di Nola, che ben sì meritò l'adunata di gran professionisti al seguito del regista genovese: Gian Maria Volonté protagonista, Vittorio Storaro alla fotografia, Ennio Morricone alle musiche. Tutti in Campo de' Fiori, a dare il definitivo saluto a chi non s'arrese al potere spirituale divenuto materiale, all'ipocrisia di una dialettica che, nella realtà, è più politica che religiosa. Alla più vile menzogna, perché pronunciata con la maschera della Somma Verità.

Grande allestimento, con scenografie e costumi d'epoca curatissimi. Il processo s'avvicina ed al protagonista non resterà che andare al rogo raccontandoci le ragioni di dominio e potere che muovono la Santa Inquisizione. Le ragioni di Dio a coprire il vile desiderio dei potenti di non perdere i propri privilegi. La religione e tutta la struttura eretta su di essa come strumento di repressione da parte dei governanti. Il film, oltre che monito (già dimenticato), diventa utile testimonianza del fatto che da sempre, per sua stessa definizione, la Chiesa si fa pochissimi scrupoli ad ammazzare brutalmente chi non si allinea, chi ipotizza l'altro, chi ha una visione religiosa della vita non conforme. La recitazione del grande attore milanese e degli altri è teatrale come lo erano quell'oscura epoca e quegli infami luoghi dove tortura e condanna a morte erano normali strumenti di prevaricazione e annullamento personale. Tutto, a certi piani dei palazzi, era da inscrivere nella tragica commedia umana, in cui i ricchi straparlavano e i poveri, almeno a parole, dicevan sì. Ancora oggi è così. Ma la vera luce, che vien dal basso, inesorabilmente ricorderà Giordano Bruno.
Dedicato a Santa Madre Chiesa.
(depa)

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