Liberi di essere

Puvioli riferisce di un cileno, sfuggitomi, nelle sale.  Quindi, abbandonati USA e GBR, trascino pure Elena all'"Ariston". Anche perché il regista del film in programmazione già mi convinse, colla precedente opera, dove fu una piccola ma gloriosa riappropriazione di sé, realizzata da una donna normale a tutti gli effetti. Tre anni dopo, l'argentincileno Sebastián Lelio ritorna su di una ben più difficoltosa ma tenace conquista individuale. Marina è "Una donna fantastica" come tante, braccata e umiliata, ma sempre in piedi. Anche coloro che la circondano, purtroppo, sono molti...

A rompere il buio in sala sono le splendide Cascate dell'Iguazú, dove fascino e spavento naturali s'intrecciano a generar continue impressioni. Con un mirabile passaggio, dal pulviscolo di quei paesaggi bel lontani dalla decantate civiltà, ci ritroviamo nel cuore di una metropoli, in un angolo artificiale, rilassante quanto avvilente, ma che pare al contrario misurare il progresso dell'umanità. In realtà, proprio da li partirà il racconto sul disumano che attraversa le nostre strade.
"Periodico de Ayer" cantava il portoricano Hector Lavoe nel 1976, tratteggiando il suo amore spavaldo ed onesto e permettendo al regista di ironizzare, di rimando, sulla eterna validità delle ipocrisie più sterili.
Il racconto avanza schiantandosi repentinamente e ponendo la protagonista in una posizione shocking. Eppure egoismo e malvagità (sino alla perversione, quella vera), erano già addestrati, là, fuori dalla stretta degli affetti. Marina si troverà dinanzi turbe di bestie feroci tenute sino ad allora al guinzaglio dal delicato rapporto di coppia. 
Così il film metterà a nudo non solo la meschina ipocrisia che pervade la società (ecco la vostra "Sagrada Familia"), ma anche il "braccio armato", la retorica aggressiva, la vile violenza, prontamente alimentata dal pensiero borghese che chiede distorsione, malafede e muso duro. 
Dopotutto, quante poliziotte/assistenti sociali come quella esemplarmente raffigurata nel film, sono sparse a tutti i livelli della società, anzi, nei punti "cardine", funzionalmente alla struttura statale e alla logica capitalista?
Lelio, però, accanto al lato duro e scabroso della faccenda, coglie anche i dolci gesti, i sofferti silenzi, e perché no?, le vitali e creative reazioni. Marina che salta minacciosa in groppa ad un bus. Marina braccata e imbavagliata (che potenza l'immagine del volto deformato dall'idiozia dell'uomo, quello vero). Marina chiamata alla riflessione su sé da molteplici specchi (azzeccato quello piccolo, più tirato quello in strada). Terrificanti momenti reali, affiancati con sapienza dal regista ad altri, di rottura, onirici. Marina contro terra e vento. Marina nel luccicante e allucinato ballo in disco. 
Forse l'unica pecca potrebbe essere proprio la ricercatezza troppo insistita, che rischia di appesantire la pellicola coi numerosi esercizi di stile; con l'accavallarsi di ridondanze estetiche e simboliche, a volte un po' ingenue (non certo "Natural Woman" in macchina, tòpos più che reale).
Lelio si conferma sensibile e attento autore, con regia pulita e ricercata. Da seguire (anche più che Larraín).
(depa)

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