Il vuoto a "giochi fatti"

Belle queste "Dive" che quelli dell'"Altrove" ci stanno proponendo nelle loro consuete rassegne "Intolerance". Ieri, per esempio, abbiamo passato la serata con la grande Jeanne Moreau (scomparsa lo scorso luglio quasi nonagenaria), la quale, prima di farsi noir per la macabra revanche, durante l'aperitivo ha sfoggiato una veste di blonde femme fatale schiava del gioco d'azzardo: "La grande peccatrice" (t.o. "La Baie des Anges"), scritto e diretto nel 1963 da Jacques Demy, è un'effimera corsa attorno ai tavoli da gioco, roulette farabutta che già, assieme al dolce dell'incontro, mescola l'amaro del distacco.

In questa pellicola, dove l'assistente alla regia è un certo Costa-Gavras, Demy si dimostra sempre attento al lato meno appariscente dei propri protagonisti, ma più inquieto; forse meno vorticoso e sfavillante nel seguire i suoi innamorati, rispetto alle  giostre precedenti, ma d'altronde qui la vacuità dei rapporti appare evidente nel paesaggio degli sfarzosi palazzi da gioco rivieraschi. La stanzetta tra i vicoli della Vieux-Nice un piccolo nido dove NON riuscire ad essere se stessi. "Il gioco non rovina, si resta lucidi", dice un personaggio già smarrito, all'inizio della pellicola. Il giovane protagonista, Claude Mann (22-ottobre-1940) più affascinante che mai, lo prenderà per saggio. Di qui dialoghi e gesti pesati, per profonda inadeguatezza e scarsità d'affetti, come Bresson insegnò.
Una sorprendente Moreau "Monroe" platinata, dall'aura tenebrosa e dalla pelle segnata da un dolore, persa nel limbo dei casinò, pronta per l'ultimo viaggio (mai per l'ultimo giro, né per l'ultimo treno), si aggira tra le dissolvenze e le melodie improvvise di Demy. Caleidoscopiche sovrapposizioni sui volti dei protagonisti, ammorbati dal vortice d'adrenalina di vittorie e sconfitte (la sostanza è la stessa). Jean resterà "cagnolino porta fortuna", Jackie con le labbra strette sull'inutile sigaretta.
(depa)

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