Coppia di fatto

L'altroieri sera è tornata Valèry! Sì, la Sala. L'occasione è stata un rendez-vous con François Truffaut imbastito dalla Cry...l'altra Pollinz...vabbè, un ringraziamento a lei. "Non drammatizziamo...è solo questione di corna" (t.o. "Domicile conjugal", scritto e diretto dal regista parigino nel 1970, non è una commedia sexy italiana, bensì il quarto appuntamento con la saga rosa di Antoine Doinel, il piccolo Léaud ormai cresciuto da quei primi lontani colpi: capitolo leggero ed ironico, affettuoso verso i propri personaggi quanto lo fu Truffaut.

Piccola ascia, sei scheggiata

Una settimana fa, mercoledì di cinema, Elena ed io ancora nelle sale. Si aggira dinanzi alle poltroncine rosse l'ultimo film del romano Matteo Garrone, la fiducia in lui accumulata mi permette di affrontarlo senza paure. "Dogman", presentato allo scorso Festival di Cannes ottenendo applausi ed una Migliore Interpretazione Maschile per l'immenso intenso Marcello Fonte, ci ha lasciati infatti col dolce gusto del bel cinema sporco, quello che picchia duro echeggiando note soavi da botte, sangue e croste. Scenografia eterna d'ogni dimenticata e nascosta periferia.

Aspettando Cowboy

La settimana scorsa, da parte dei ragazzi dell'"Altrove", altra proposta stupefacente. Grazie anche all'interessamento della casa di distribuzione "Reading Blooms", tutta italiana e dedita alle chicche indipendenti, sia Elena sia io abbiamo potuto iniettarci questo "The connection" (in italiano "Il contatto"). Trattasi di trasposizione cinematografica della newyorkese Shirley Clarke (1919-1997), realizzata nel 1961, di un'opera del drammaturgo connazionale Jack Gelber (1932-2003), messa in scena due anni prima da "The Living Theatre". Visto con gli occhi di oggi, questa pellicola dirty e sfrontata, senza perdere in fascino, magari mostra qualche ruga, ma provare ad immaginarsi nelle sale dove la pellicola uscì (poche suppongo), fa venire i sudori freddi...

"Male Malic, Male!"

Giovedì scorso, i ragazzi dell'"Altrove" di piazzetta Cambiaso si sono prodigati in una delle loro sorprendenti proiezioni: "Papà...è in viaggio d'affari", del 1985, è il secondo lungometraggio diretto da Emir Kusturica e scritto dal poeta sceneggiatore Abdulah Sidran, entrambi bosniaci, che si aggiudicò la "Palma d'Oro", grazie ad un racconto denso di affetto e rimpianto per le esistenze di quei luogo e tempo, giammai prive di sorrisi e gioie, ma altresì cosparse di assurdi lacci (e cappi) ideologici.

Inanimus

Martedì scorso, un buco di due ore, c'è tempo per un film. All'"Ariston" propongono un iraniano: la decisione è già presa. "Il dubbio - Un caso di coscienza", pellicola del 2017 scritta e diretta da Vahid Jalilvand, quarantaduenne di Teheran, è di quelle che, appunto, pongono l'accento sulle responsabilità etiche di ciascuno, smarrite per i non luoghi delle nostre società, dimenticate durante la corsa al denaro cui tutto sacrifichiamo. Rigore delle immagini e del messaggio, in un film dolce per gli occhi, ma crudele, giustamente, per i nostri cuori plastificati.

Noia che spoglia

Procedendo lungo la celluloide sbobinata durante l'Annus Mirabilis della Contestazione 1968, i ragazzi dell'"Altrove" hanno organizzato un rendez-vous con Claude Chabrol che, proprio in quell'anno, realizzò una pellicola (in realtà non più) scalpitante sulla superficie scabrosa degli amori omo o, comunque, dei rapporti differenti. "Le cerbiatte" (t.o. "Les biches"), colpisce per il fascino dei suoi protagonisti e per la disinibita eleganza delle sue immagini.

Paraspecchio rotto

Sabato scorso Elena ed io avevamo ancora fame. Di cinema. Golosi ingordi della celluloide, siamo schizzati al "Corallo" dov'era l'ultimo di François Ozon. Peccato che pure questo "Doppio amore", del 2017, sia scheggiato veloce su di un cinema rosa Harmony, intitolato Twin e qualcosa, con foto di volti siamesi speculari in copertina (se c'è spazio, mettiamoci una bocca, o che so, un perizoma). Ancora la giovane e bella Marine Vacth, parigina classe 1991 a catturare l'attenzione del pubblico che, d'altro canto, non può far finta di non vedere la povertà dei contenuti sullo schermo.

Tutti alienabili

Un buon film si riconosce dalle prime due o tre inquadrature ("eccallà, la sparata del giorno"). Quello che abbiamo visto Elena ed io venerdì scorso, "The Constitution" (sottotitolo italiano "Due insolite storie d'amore"), diretto dallo zagabrese classe 1947 Rajko Grlić, non mantiene tutte le promesse iniziali, ma conferma la sua sensibilità sul piano visivo, con la fotografia (luci) ben attenta al proprio compito: incorniciare ciascun luogo secondo le differenti gradazioni di minaccia, protezione, isolamento, passione o dolore, presenti nello stato d'animo del protagonista. Esistenze travagliate all'ombra delle Nazioni, dove l'illusione di una costituzione aurea continua a rincoglionire le menti, cedendo alle discriminazioni più violente.

In territori inumani

Mercoledì scorso è stato facile scegliere un film tra quelli nelle sale. C'è una produzione palestinese al "City" e di certo non vi rinuncio per una americana su supereroi, né una italiana su coppie in crisi (ma buffone). Ed anche a capire che la scelta di "Wajib" (sottotitolo italiano "Invito al matrimonio"), scritto e diretto dalla palestinese classe 1974 Annemarie Jacir, è stata ottima non ci si è messo molto. Dall'inizio alla fine, questo road-movie nei territori occupati, per salite e discese, strade e scale, mantiene la delicatezza necessaria per affrontare con lucidità uno dei casi politico-sociali (trattasi di esseri umani) più imbarazzanti della storia dell'umanità.

Aprili senza sosta

Pure François Truffaut nel 1968 disse la sua. Lo fece alla maniera che lo rese celebre, con l'ironia, frutto di profondità e leggerezza, che sola può incorniciare gli amori fugaci e capitali dei giovani aprili. "Baci rubati", proiettato lunedì pomeriggio all'"Altrove" all'interno della rassegna "Intolerance '68 - La lutte est finie", accarezza soltanto gli anni della contestazione, parlando al massimo di un'inadeguatezza complessiva della società, cui rispondere, se non con un sasso, almeno con una smorfia e, possibilmente, con un bacio.

Stufare è poco, pd

Abbiamo quasi rischiato di perderlo, l'ultimo film di Kim Ki-Duk, datato 2016, uscito nelle sale in queste settimane. Così non è andata ed, anzi, in occasione de "Il prigioniero coreano" tutta la sala "Film club" a disposizione per Elena e me. Comodità estrema, quindi, per volgersi a questa pellicola meno allegorica e visionaria del solito, trattandosi di Ki-Duk, ma non per questo meno profonda. La disumana distinzione e separazione tra individui mediante frontiera, la ridicola sceneggiata di stati e nazioni, con tutto il codazzo di retorica ed idiozia (capitalista e militare): proprio non riusciamo?

"I cani, le mosche e le calzature"

Lunedì scorso turna all'"Altrove". Ancora una volta, per "Intolerance '68 - La lutte est finie", nella piccola sala di piazzetta Cambiaso presenti Elena ed io. Cambio di programmazione multiplo (sbaglio io che sbagli tu che infili una pizza porno sulle bisce di Chabrol), finalmente si passa a "Goto - L'isola dell'amore", del regista polacco naturalisé francese Walerian Borowczyk (1923-2006). Questa pellicola del 1968 (appunto) sintetizza in fiaba surreale, ma nemmeno tanto, la tragicommedia delle moderne società. Tanto militarismo (col necessario servilismo a contorno) e pomposa e affabulante retorica a coprire un'avidità, a nascondere una bramosia di potere che sembrano non poter abbandonare la nostra specie: certamente non in questo Stato.